Il 2 ottobre 1950 debuttano negli Usa le strisce di Charles M. Schulz e subito il mondo si innamora di quei personaggi così dolci e così disincantati.
I PEANUTS compiono sessant'anni. Sono sopravvissuti felicemente al loro autore, come capita solo ai classici, e circolano per il mondo in mille forme.
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Il vero mistero dei Peanuts (e il vero capolavoro di Schulz, volontario o preterintenzionale che sia) è la prodigiosa elasticità di lettura. Un poster di Charlie Brown figura con la stessa dignità sopra la scrivania dell'intellettuale, accanto ai manifesti del Bauhaus, e nella cameretta del teenager, di fianco al poster di Vasco o degli eroi del wrestling. Una lettura multistrato, immediata e "divertente" quanto basta a raggiungere il pubblico di massa, strutturata e allusiva quanto serve per toccare altre corde.
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Dentro quelle strisce minute scoprivamo il riverbero della malinconia giovanile del Salinger del Giovane Holden e del Philip Roth del Lamento di Portnoy. C'era la parodia della psicanalisi ("cinque cents, prego", chiedeva Lucy dopo i suoi consulti inconsulti), l'incombenza soporifera della televisione (mai inquadrata da Schulz, che preferiva ritrarre lo svacco inerte dei ragazzini davanti al video sempre fuori campo), c'era la caduta dell'autorità degli adulti, c'era l'inutilità del benessere, c'era l'incomprensibilità della scuola. Il mondo piccolo dei Peanuts riassumeva tutti o quasi i tratti di uno spaesamento adolescenziale che in quegli anni, i Sessanta e i Settanta, spesso assumeva le forme della ribellione, dell'asprezza politica.
Ma in Schulz, che non fu mai un autore "politico", quella stessa irrequietezza rimaneva implosa, gentile e riflessiva, ironica e pudica. Se "niente andava bene" - anche nei Peanuts, e specie per il loro eroe Charlie Brown - tutto però doveva rimanere gestibile, raccontabile, entro i confini incruenti del gioco e del sogno. Pur di tutelare questo infinito garbo (nei Peanuts non compare mai una parolaccia, una frase violenta), Schulz è ricorso a una specie di "trucco" anagrafico: i suoi ragazzini pensano e parlano già come adolescenti, ma vengono disegnati come bambini. Del bambino hanno la piccolezza, l'impaccio, la fragilità, l'immensa libertà di fantasticare e giocare e inventare. Ma l'introspezione, la "serietà", e anche le sconfitte, sono già materiale semi-adulto.
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Ma una delle più evidenti qualità dei Peanuts - l'idea vincente - è stata consegnare a un gruppo di bambini il carico di dubbi, fatiche, smarrimento di una middle-class inquieta (più tardi si sarebbe detto: ceti medi riflessivi) che cominciava a maneggiare il benessere con qualche impaccio, e chiedersi se davvero era felice, in quelle casette linde e tra quelle staccionate bianche. Nelle mani dei bambini, questa materia in fin dei conti dura, che altrove divampava e feriva, si trasformò in gioco e in sogno, in umorismo e poesia. Chiunque abbia frequentato i Peanuts, a qualunque età li abbia letti o li legga, ne coglie la malinconia (non fanno "ridere", fanno sorridere, pensare, intenerire) ma è soprattutto ammirato dall'infinita, rara leggerezza.
Quei bambini-filosofi, nella loro piccola enciclopedia del pensiero imberbe, parlano senza dubbio di noi, ma tenendosi bene a distanza dagli sbocchi distruttivi o autodistruttivi dell'età adulta. Si chiedono chi sono, e cosa ci fanno lì, e quali possibilità rimangono, a chi vuole sognare, di sognare davvero. Ma si guardano bene dal confondersi con la fretta, l'ansia, l'ambizione, il fracasso del mondo già compiuto, quello dei grandi. Sono incompiuti (beati loro). E nell'incompiutezza pensano (giustamente) che tutto sia ancora possibile, che la ragazzina dai capelli rossi ricambi prima o poi un amore neppure mai pronunciato, che il Sopwith Camel di Snoopy possa infine levarsi in volo e mitragliare il Barone Rosso, che il pallone da football, un giorno o l'altro, possa essere calciato con vigore e precisione, che l'aquilone non si attorcigli al suo filo e non vada a morire sull'unico albero in mezzo al campo.
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Può darsi che questa "eternità" dei Peanuts consoli soprattutto chi li ha incontrati a dodici anni, molto molto tempo fa, ed è felice di ritrovare intatti, non in cocci, almeno alcuni dei segni dell'infanzia. Ma può darsi, anche, che l'eleganza intellettuale, il pudore, l'acuta leggerezza di Schulz parlino anche a chi li legge ora, ed è ragazzo ora, e avendo palloni ancora da calciare, e ragazzine dai capelli rossi da fare innamorare, trova nei Peanuts non una consolazione, ma un'istigazione alla libertà di vivere.